«Meno di pochissimo»

Intervista al cantautore, scrittore e conduttore radiofonico, Fabrizio Coppola 

Da un po’ di tempo stiamo provando ad approfondire sempre a modo nostro quella forma d’arte che, più delle altre, giunge a noi tramite il senso dell’udito: la Musica. Il progetto soundtracks sMH, con il quale vi proponiamo una playlist al mese a tema Medical Humanities, è uno degli esempi di questa indagine, così come lo sono l’articolo di Andrea Casale Cosa c’è di speciale nella musica? e il mio, sul libro di Nick Cave Fede, Speranza e Carneficina. Ancora, però, non avevamo affrontato questo tema parlandone con chi se ne occupa da una vita e anche per vivere. Per questo motivo ho deciso di chiacchierare di musica (e, come al solito, non solo) con Fabrizio Coppola, cantautore milanese che nel 2023 ha pubblicato il suo ultimo album dal titolo Heartland.  

Fabrizio, così a bruciapelo, cos’è per te la musica 

Il canale di comunicazione più potente che abbia mai trovato. Uno strumento di liberazione personale e un mezzo per continuare a provare a capirci qualcosa di me e della vita in generale. 

Ho trovato il tuo ultimo album, Heartland, molto intimo rubando un termine alla letteratura, direi che mi sembra quasi un memoir. Sbaglio o confermi la mia impressione? E come è nato Heartland 

Sì, senza dubbio Heartland è il lavoro più personale che ho pubblicato finora. Con la solita avvertenza: le opere di finzione non vanno mai intese in senso didascalico e in generale non dicono mai la verità vera. Raccontano la verità della finzione. Heartland ha visto la luce dopo un periodo di gestazione molto lungo: a un certo punto ho provato a vedere se il materiale raccolto in quel periodo avesse una coerenza narrativa perché era giunto il momento di liberarmene – vale a dire di pubblicarlo.  

In un periodo in cui si tendono a privilegiare, anche nella musica, contenuti brevi, rapidi, immediati penso a questa costante produzione di singoli, di one hit wonder, come vengono ora definiti – tu resti legato all’album, alla narrazione in musica, a quelle storie che invitano chi le ascolta a prendersi il giusto tempo per comprenderle e per renderle anche un po’ sue.

Sì, la fruizione in generale sta diventando sempre più rapida e i motivi per cui accade sono molteplici. Io, però,

resto legato all’idea che un’opera debba attirarti nel suo mondo e tenerti lì per qualche tempo

– se pensi al cinema, per fare un esempio recente, le oltre tre ore di visione dell’ultimo film di Martin Scorsese, Killers of the flower moon, sono state per me una reale boccata d’ossigeno. Più tempo passi in compagnia di un’opera, più sono le possibilità che riesca a toccarti in qualche modo. 

Opere che ti attirano nel loro mondo e ti tengono lì, dici. Beh, mi fai un perfetto assist per chiederti del tuo programma radiofonico, Giocare col fuoco, che va in onda tutte le domeniche alle 14.00 su Radio Popolare (ma che si può anche ascoltare, quando lo si vuole, in podcast) e, più in generale, del tuo rapporto con una mia (e, ovviamente, anche tua!) grande ossessione: la letteratura. Da cosa nasce Giocare col fuoco e che valore sociale pensi abbia parlare pubblicamente di letteratura e provare a diffonderla, nel 2024 

Giocare col fuoco nasce da un canale Telegram che avevo lanciato durante la pandemia e nel quale inviavo messaggi vocali di tre o quattro minuti, in cui leggevo una poesia o qualche altra cosa con della musica in sottofondo. Era stata una mia reazione all’isolamento che eravamo costretti a vivere. Moltissimi tra quelli che mi ascoltavano mi scrivevano per dirmi che era sempre un grande piacere ricevere quei messaggi audio. Così, qualche tempo dopo, ho pensato di proporre un format simile a Radio Popolare. L’idea a loro è piaciuta ed eccoci qui, al terzo anno del programma.

Io resto convinto che uno dei benefici collettivi dell’arte sta nel fatto che ci permette di riconoscerci mutualmente come esseri umani.

In un periodo storico in cui l’orrore della guerra, l’egoismo, la ferocia del mercato ci stanno disumanizzando un pezzettino alla volta, quasi senza che ce ne rendiamo conto,

il valore del raccontare storie sta proprio in questo, nel tenere viva la fiamma dell’umanità che non può prescindere dal senso collettivo.

Dovessimo arrivare ad autodistruggerci come sembra sempre più probabile sono sicuro che i sopravvissuti si raduneranno intorno al fuoco per raccontarsi storie, così come si faceva agli albori dell’umanità. 

Torno alla musica suonata in chiusura e così rendo anche ragione al titolo che ho voluto dare a questa nostra chiacchierata. Il mio pezzo preferito di Heartland si intitola Meno di pochissimo. In una bella recensione su Mescalina.it di Arianna Marsico lei l’ha giustamente definita una canzone essenziale e tutta basata sulla chitarra – chitarra che, non l’ho detto, è lo strumento che tu suoni. Nel testo a un certo punto giochi con le metafore «la vita è un’altalena / ti butta su e giù / è un pugno nella schiena / un fiume in piena / e non respiri più». Se dovessi dire io di cosa parla Meno di pochissimo per me è una canzone sulle rinascite, sulle continue rinascite che ci richiede questa altalena che è la vita. Riflettendoci bene è un’idea che si avvicina anche alla guarigione dalla malattia, che fa parte della vita, che ci travolge come un fiume in piena e ci toglie il fiato. È una mia interpretazione ovviamente, è un piegare la tua arte ad una mia visione, sicuramente legata a quello di cui mi occupo nella vita e agli argomenti di cui scrivo su questa rivista. Innanzi tutto, cosa ne pensi? E poi, vorrei sapere perché hai scritto Meno di pochissimo, da dove arriva?  

Meno di pochissimo è anche una delle mie preferite del disco, perché di fatto riassume uno dei temi principali dell’album: per giungere alla luce bisogna attraversare l’oscurità. E la canzone descrive quanto soffocante e alienante può essere quell’oscurità. C’è anche il senso di rinascita, come dici tu, anche se qui l’accento è più sul periodo precedente, sul deserto da attraversare, su quel momento in cui ti ritrovi in un angolo e non vedi via d’uscita. Di sicuro è un’immagine che può calzare anche con la malattia, che nei casi fortunati quando cioè è seguita dalla guarigione rappresenta proprio un momento simile. 

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